7 apr 2016

The new wave - La nuova onda (su Globalizzazione e disuguaglianza)

La nuova onda

Si sa sorprendentemente poco sulle cause delle disuguaglianze. Un economista serbo-statunitense propone una teoria interessante.

Dalla sezione "Books and arts" dell'edizione cartacea, recensione del libro Global Inequality: A New Approach for the Age of Globalisation di Brank Milanovic (Belknap, 299 pagine, 29.95$/22.95£, Harvard University Press)
(Traduzione dall'articolo originale dell'Economist reperibile qui)

È un periodo ottimo per studiare le disuguaglianze. Thomas Piketty, economista francese, ha posto la pietra di paragone nel 2014 con la pubblicazione e grande diffusione del suo Il Capitale nel XXI secolo. Il libro tracciava i contorni della crisi all'interno di una nuova teoria di storia economica. La disuguaglianza, che è andata a diminuire dagli anni '30 (del 900) fino ai '70, si è rapidamente innalzata tornando ai livelli della Rivoluzione Industriale, ha detto Piketty. Ora Brank Milanovic, economista al Luxembourg Income Study Centre e alla City University of New York, ha scritto un seguito esauriente. Nel quale conferma quanto poco si sappia sui parametri economici di competitività (livello di disoccupazione, tasso d'inflazione, politiche fiscali, stabilità di governo) nel lungo termine.

In un certo senso, Global Inequality è un libro meno ambizioso rispetto a Il Capitale. È più breve, ed è scritto più in forma di articolo accademico, rispetto al più scolastico e divulgativo Piketty.

Come Piketty, Milanovic inizia con pile di dati assemblati su anni di ricerca. Mette le tendenze di diverse nazioni in un contesto globale. Negli ultimi 30 anni, i guadagni dei lavoratori "mediani" rispetto alla distribuzione mondiale di guadagno (ad esempio gli operai di fabbrica in Cina) sono cresciuti con tasso pari all'aumento del guadagno dell'1% più ricco (vedi grafico). Allo stesso tempo,

i guadagni della classe lavoratrice nelle economie avanzate è rimasta uguale. Questa dinamica ha contribuito a creare una sorta di middle class mondiale. Ha anche causato, per la prima volta dall'inizio dell'industrializzazione, una stabilizzazione se non addirittura una diminuzione della disuguaglianza mondiale.

Per aiutare il lettore a interpretare questi dati, Milanovic introduce una serie di semplici e lineari modelli mentali. Milanovic nota, per esempio, che all'alba dell'industrializzazione il fattore preponderante nella differenza tra ricchi e poveri era la disuguaglianza intra-nazionale (ovvero di classe). Dopo l'industrializzazione, invece, la disuguaglianza inter-nazionale (ovvero geografica) ha preso il sopravvento. Ma man mano che la differenza tra nazioni si assottigliava, il fattore intra-nazionale/di classe ha ripreso importanza. Milanovic aggiunge sale alla discussione con commenti interessanti, ad esempio sul fatto che guadagni e disuguaglianza calarono nel corso dell'Impero Romano.
Il contributo più importante di Milanovic è sulle "onde di Kuznets", che propone come alternativa alle teorie della disuguaglianza accettate attualmente. Simon Kuznets, un economista del secolo scorso, sosteneva che la disuguaglianza è bassa a bassi livelli di sviluppo, cresce durante le fasi di industrializzazione e decade quando le nazioni raggiungono la maturità economica; un'alta disuguaglianza è l'effetto collaterale temporaneo del processo di sviluppo. Piketty ha offerto una spiegazione alternativa: che alti livelli di disuguaglianza siano lo stato naturale delle economie moderne. Solo eventi rari, come le due Guerre Mondiali e la Grande Depressione degli anni '30 interrompono questo equilibrio.

Milanovic ritiene che entrambi i modelli siano errati. Suppone che la disuguaglianza abbia un andamento ciclico nel corso della storia: l'andamento delle curve di Kuznets. Nel periodo pre-industriale, queste onde erano governate dalle dinamiche Malthusiane: la disuguaglianza cresceva quando una nazione viveva un momento magico di buona fortuna e buoni guadagni, e diminuiva veolcemente quando una guerra o una carestia riportavano il guadagno medio ad un livello di sussistenza. Con l'industrializzazione, le variabili che contribuiscono alle curve di Kuznets cambiano: diventano Tecnologia, Apertura e Politica (technology, openness and policy - TOP). Nel XIX secolo progresso scientifico, globalizzazione e spinte politiche si sono rinforzati mutuamente come onde in fase, producendo un cambiamento economico senza precedenti. I lavoratori si sono spostati in massa dalle fattorie alle fabbriche, i guadagni sono aumentati e così anche la disuguaglianza, e il mondo è diventato interconnesso in un modo inimmaginabile fino a pochi anni prima. Poi una combinazione di forze sia maligne (guerre e rivoluzioni) che benigne (aumento della scolarizzazione) hanno compresso la disuguaglianza, portandola al livello minimo degli anni '70.

Da allora in poi, il mondo ricco ha cavalcato una nuova onda di Kuznets, spinto da un'altra era di cambiamento economico. Il progresso tecnologico e il commercio si sono sommati costruttivamente in fase per spremere i lavoratori, dice Milanovic; la tecnologia low cost prodotta nei Paesi in via di sviluppo indebolisce direttamente il potere contrattuale dei lavoratori dei Paesi ricchi, e permette alle aziende di sostituire le persone con le macchine. La diminuzione del potere economico dei lavoratori si accosta alla diminuzione del potere politico degli stessi, dato che i ricchi usano le loro fortune per influenzare le elezioni.

A questa diagnosi si aggiunge un elemento predittivo: Milanovic si aspetta che la disuguaglianza del mondo ricco aumenti, specialmente in America, prima di tornare a scendere. Soprattutto, afferma che la parte discendente della curva di Kuznets della disuguaglianza sia un inevitabile risultato della parte ascendente. Là dove Piketty vede gli eventi storici che hanno compresso la disuguaglianza come casi eccezionali, Milanovic ritiene che siano l'effetto diretto dell'aumento della disuguaglianza [1]. La ricerca di di opportunità di investimenti esteri ha generato l'imperialismo e preparato i presupposti per la guerra. Ci sono delle similitudini, anche se da prendere con le molle, con l'economia moderna: le economie ricche appaiono stagnanti e quelle ricchissime hanno difficoltà a trovare posti in cui investire per aumentare il loro benessere.

L'analisi di Milanovic lo porta a vedere nero per il futuro. L'America gli appare in caduta libera verso una plutocrazia antidemocratica, in conseguenza allo stato attuale di aumento della sicurezza. In Europa la xenofobia è in crescita. La buona notizia è che le economie emergenti probabilmente continueranno nel loro cammino verso i Paesi ricchi, sempre tenendo conto che ciò non è garantito e potrebbe essere ostacolato da  crisi politiche in Cina o in altri mercati.

La conclusione del libro è un po' insoddisfacente. Una teoria per cui la disuguaglianza in aumento innesca sommovimenti sociali di compensazione è intuitivamente accettabile, ma lascia anche molte domande importanti senza risposta. Quand'è che il prodotto della disuguaglianza è la guerra, quando la rivoluzione? I governi sono alla mercé dei cicli di Kuznets o possono agire anticiclicamente per appiattire le onde ed evitare le crisi dovute alle disuguaglianze? Il contributo di Milanovic è alla fine simile a quello di Piketty. I dati che fornisce offrono un quadro più chiaro dell'enorme puzzle economico, e la sua interessante teoria spazza via le vecchie e stanche ortodossie economiche. Ma la teoria serve tanto a rivelare la grande ignoranza contemporanea quanto a illuminare la meccanica dell'economia globale.


[1] Per chi abbia familiarità con la Teoria dei segnali, secondo Piketty la disuguaglianza è un segnale aleatorio a bassa varianza con spike improvvisi imprevedibili, mentre secondo Milanovic è la somma coerente di tante sinusoidi che a volte si combinano in fase ed altre in controfase.

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